PROPOSTA DELLE ACLI

Coronavirus, aiutiamo gli autonomi: la proposta di ACLI ai Comuni

La variabile tempo
In queste ore stiamo assistendo alla difficoltà di dare operatività ai provvedimenti varati dal governo per il sostegno delle piccole imprese e partite IVA.

Gli strumenti e la tecnologia non sono stati tarati per sopportare un così gravoso sovraccarico di attività che unito alla confusa informativa sugli aventi diritto e le modalità di accesso, ha generato e gettato nel panico centinaia di imprenditori.

Questo evidentemente allungherà ulteriormente i tempi di erogazione delle risorse a favore di chi già da un mese si trova ad essere impossibilitato a svolgere la propria attività.

Non solo. La preoccupazione che dobbiamo avere è che molte delle piccole attività nei comuni di piccole e medie dimensioni o nei quartieri popolari delle città, non solo sono ora in difficoltà ma rischiano di non resistere alla riapertura o di non riaprire nemmeno.

Il piccolo contributo a fondo perduto previsto sinora appare lentissimo da ottenere troppo esiguo e troppo distante dall’essere una soluzione adeguata per garantire che il danno al tessuto sociale di ripari. Serve curare la dimensione economica quanto la dimensione sociale, soprattutto nella trama dei piccoli centri, dove è possibile ricercare e costruire una rigenerazione comunitaria, rispetto alle città di più grandi dimensioni. Rigenerazione comunitaria perché nei piccoli centri sino a 5-6000 abitanti tutti si conoscono e il controllo sociale può superare i vincoli burocratici cosi come sono quei piccoli centri nei quali se si perde il capitale umane, se cioè i piccoli artigiani e professionisti vanno via, non ci sono le condizioni per sostituirlo con altro. Sarebbe un’accelerazione definitiva verso lo spopolamento e la morte dei piccoli centri.

E se fossero i Comuni?
Quale ipotesi allora, dalla nostra esperienza delle Acli? Se fossero i comuni ad assumere l’iniziativa di un sostegno ai 10-15 artigiani e professionisti della propria comunità attraverso un contributo a fondo perduto, a salvaguardia del tessuto sociale ed economico locale, attraverso l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione dove ci fosse o attraverso la possibilità di accedere ad un prestito presso le banche da restituire attraverso una piccola quota di fiscalità comunale, anche di addizionale Irpef, da parte dei cittadini più protetti per un fondamentale aiuto ai concittadini in difficoltà.

L’idea è che con un contributo non superiore ai diecimila euro, il nostro barbiere, la parrucchiera, l’estetista, il calzolaio, il carpentiere, il muratore, il falegname possano affrontare questi mesi di difficoltà che andranno oltre il tempo delle restrizioni abbiano una possibilità di proseguire nel loro servizio in quella comunità, riaprendo la propria attività.

Un meccanismo senza burocrazia nazionale o regionale, con il controllo diretto dei cittadini che saprebbero chi ne ha usufruito, come quando si sostengono le attività culturali o sportive, e se arrivassero dalla Regione o dallo Stato altre risorse, queste andrebbero a coprire altri interventi. Se poi arrivassero soldi ai comunidallo Stato o dalla Regione questi potrebbero essere usati per altri interventi che non siano esiziali e possano sopportare i tempi e i controlli, giusti, che servono quando si utilizzano soldi pubblici.

Valutare la proposta
Occorre valutare questa possibilità che sarebbe rapidissima da attivare senza le lungaggini di procedure che rischiano di rendere inutile qualsiasi forma di aiuto che, se non immediato, rischia di arrivare quando il paziente non ne avrà utilità perché passato ad altra condizione. E solo i comuni sono le istituzioni in grado di garantire i cittadini della trasparenza quanto dell’interesse di attivare un processo di rigenerazione comunitaria, vitale per le piccole comunità, indispensabile per le piccole attività artigiane e professionali. Per una volta, dire “prima i meanesi, o prima gli orgolesi” sarebbe una cosa sensata e giusta.

Franco Marras
Presidente ACLI Sardegna

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